Attualità di Redazione , 23/05/2020 10:18

Cala inquinamento e cresce produzione mele

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In un mondo sconvolto dal covid-19 le api diventano il vero termometro dell’ecosistema. Anche a motivo del prolungato lockdown vi sono state minori emissioni di agenti inquinanti nell’atmosfera (-30%); a beneficiarne, a cascata, la produzione di miele in provincia. Questi particolari insetti, peraltro, rappresentano il punto di equilibrio della biodiversità, ovvero della coesistenza di diverse specie animali e vegetali mediante le loro reciproche relazioni. La loro sopravvivenza, dunque, è una questione che ci riguarda tutti. “Non abbiamo ancora numeri ufficiali – spiega Valentino Rossin, titolare dell’apicoltura Val Giò di Bovolenta – ma il trend sembra confermare una ripresa rispetto alle scorse annate. In ogni caso fra un mese avremo un quadro più chiaro”.

Il clima ha favorito il comparto: negli ultimi tre mesi le piogge sono state molto rare. Di conseguenza, le api hanno continuato a volare, mentre i fiori di acacia si sono sviluppati regolarmente.

Rimane, sullo sfondo, l’annoso problema della moria delle api, pure nel padovano. “Si tratta di un fenomeno che non è affatto scomparso”, aggiunge Rossin. Tra le cause, il rialzo generale della temperatura, che le costringe a cambiare habitat e a spostarsi costantemente alla ricerca di areali più freschi, e lo stravolgimento delle stagioni con primavere anticipate e freddo fuori periodo.

In tutto, sono oltre 1.000 gli apicoltori nel padovano (7.000, complessivamente, in Veneto; 2.100 quelli professionali). Al fine di rilanciare il comparto la Commissione Europea - nell’ambito del Green Deal (misure per rendere più sostenibili e meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia e lo stile di vita dei cittadini europei) - sta redigendo un documento da far siglare agli Stati membri che prevede la riduzione del 50% dell’utilizzo dei pesticidi chimici entro il 2030. “Si tratta di un modo – spiega il direttore di Cia Padova, Maurizio Antonini - per fermare la decrescita degli insetti impollinatori”.

Fra le altre criticità, la frammentazione dell’offerta e la riduzione dei terreni idonei alle api, come illustra uno specifico studio di Veneto Agricoltura. Questo a motivo di un incremento del consumo di suolo: nel solo 2018 sono stati mangiati 922 ettari (dati Ispra) in Regione, con l’effetto di una generale perdita di produttività, carbonio organico e una minore qualità degli habitat delle stesse. “La scorsa annata è andata male a livello provinciale – continua Antonini –. Le abbondanti precipitazioni, soprattutto nel mese di maggio, hanno quasi azzerato la produzione del miele di acacia. Abbiamo registrato una forte riduzione, -40%, pure per le altre varietà. Il rilancio che si va prospettando rappresenta un’iniezione di fiducia per i nostri apicoltori. Non è, come può sembrare ai non addetti, un settore di nicchia, ma un volano per l’economia locale”.

Da qualche tempo a questa parte, aggiunge, “questo particolare insetto è, indirettamente, uno dei punti di forza della filiera agroalimentare. Seppure non ci siano ancora numeri ufficiali, il fatto che il mercato del miele sia ripartito ci fa ben sperare, pure in termini di sostenibilità ambientale. L’agricoltura si deve fondare su questo valore, soprattutto in questo particolare contesto storico. Siamo chiamati a riscoprire i ritmi e i tempi della natura; a tale proposito le api sono una cartina al tornasole di come sta la nostra Terra”.

Secondo i numeri forniti dalla Banca Dati Apistica (BDA), infine, in Italia vi sono 55.877 apicoltori. Di questi, il 65% produce per autoconsumo, e il 35% per il mercato. In tutto il Paese si contano oltre 1.200.000 alveari, e 220.000 sciami. L’Italia è il nono Paese per quantità di miele importato, e il diciottesimo al mondo per miele esportato.