Attualità di Redazione , 01/08/2020 10:20

CGIA: a rischio default 1,7 mln di micro imprese

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Quattro micro imprese su 10, poco meno di 1,7 milioni di attività, rischiano la chiusura a causa della crisi economica provocata dall'emergenza Covid-19.

Lo rileva la Cgia sulla base dei risultati dell'Istat sull'andamento dell'economia italiana. "Ci riferiamo - spiega Paolo Zabeo - a quel ceto medio produttivo costituito da imprese dei servizi, negozianti, botteghe artigiane e partite Iva con meno di 10 addetti che dopo il lockdown non si sono più riprese e, ora, hanno manifestato l'intenzione di chiudere per sempre. I settori più vulnerabili alla crisi emersi da questa indagine sono stati i bar, i ristoranti, le attività ricettive, il piccolo commercio, il comparto della cultura e dell'intrattenimento. Nel produttivo - aggiunge - le difficoltà hanno investito soprattutto il settore del mobile, del legno, della carta e della stampa, nonché il tessile, l'abbigliamento e le calzature. Una situazione ritenuta irreversibile che sta inducendo tanti piccoli imprenditori a gettare definitivamente la spugna".

La Cgia torna a chiedere che con il decreto di agosto le micro realtà commerciali e produttive più fragili all'emergenza Covid siano aiutate a rimanere in vita, per esempio, attraverso una ulteriore e più robusta erogazione di contributi a fondo perduto; e poi con la cancellazione delle scadenze fiscali erariali, almeno sino a fine 2020.

Le previsioni, purtroppo non lasciano presagire nulla di buono.La Cgia ricorda che nel 2009 il Pil era sceso del 5,5%, mentre il tasso di disoccupazione nel giro di 2 anni è salito dal 6 al 12%. Con un Pil che nelle più rosee previsioni quest'anno dovrebbe calare del 10%, quasi il doppio della contrazione registrata nel 2009, il pericolo che il numero dei disoccupati aumenti esponenzialmente è molto alto.

Per la Cgia oltre a dare liquidità, tagliare le tasse e alleggerire la burocrazia è altresì necessario rivalutare il lavoro manuale. Negli ultimi 40 anni c'è stata una svalutazione culturale spaventosa. Attraverso le riforme della scuola avvenute di questi ultimi anni e, specie, con il nuovo Testo unico sull'apprendistato, alcuni passi importanti sono comunque stati fatti. Ma non basta. Serve una vera e propria rivoluzione per ridare dignità, valore sociale e un giusto riconoscimento economico a tutte quelle professioni dove il saper fare con le proprie mani costituisce una virtù aggiuntiva che rischiamo di perdere.

Nonostante la crisi c'è un grande paradosso: mentre tante micro attività chiudono, molti settori, almeno fino a poco tempo fa avevano difficoltà a reperire personale qualificato. Ci sono realtà dove fino allo scorso febbraio si faceva fatica ad assumere autisti di mezzi pesanti, conduttori di macchine a controllo numerico, tornitori, fresatori, verniciatori e battilamiera.

Senza contare che nell'edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. "Gli effetti economici del Covid - dice Renato Mason, segretario Cgia - si sono sovrapposti ad una situazione generale che era già profondamente deteriorata. Tra il 2009 e il 2019 si sono perse 180mila aziende artigiane. Circa il 60%erano attività legate al comparto casa: edili, lattonieri, posatori, dipintori, elettricisti, idraulici, etc. hanno vissuto anni difficili e molti sono stati costretti a chiudere. La crisi dell' edilizia e la caduta verticale dei consumi delle famiglie sono stati letali. Purtroppo, le profonde trasformazioni in atto e la drammatica crisi che vivremo nei prossimi mesi cancelleranno molte attività che cambieranno il volto delle nostre città, incidendo negativamente anche sulla coesione sociale del Paese".